lunedì 4 dicembre 2006

Chesterton anti eugenetico


Cari amici,
Chesterton si distinse da subito per la sua intelligente opzione per la vita. Qui di seguito diamo conto, con un bell'articolo uscito su Il Foglio nel 2005 a firma di Fabio Canessa, di questa sua intelligenza.
Vorremmo spargere nella Rete dei semi di sanezza mentale, visto che in questi giorni sta partendo l'offensiva mediatica pro eutanasia, e questo assolutamente non ci piace. Che facciano tutti i loro scioperi della fame, noi andremo in giro nudi per difendere la vita.



Il Chesterton Anti-Eugenetico
Un libro contro la tirannia dei medici, imposta ovviamente “per il bene di tutti”
ANNO X NUMERO 137 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO © SABATO 11 GIUGNO 2005

“Come Giove doveva essere nascosto dalle grinfie del Tempo divoratore, come Gesù Bambino da Erode, così il bambino non nato va nascosto dal suo onnisciente oppressore. Lui che non vive ancora, lui e solo lui è ab-
bandonato; e cercano la sua vita per portargliela via”. Così scriveva Gilbert K. Chesterton nel suo saggio contro l’eugenetica, pubblicato nel 1922 dall’editore Cassel con il titolo “Eugenetica e altri mali”. Chesterton cominciò a pensarci nel 1910, quando “l’eugenetica da mania divenne moda” e “lo scherzo si fece serio”. Argomento ideale per uno scrittore che, scherzando, diceva cose serissime. “Visto davanti Chesterton ha la figura di un vescovo,” scrisse Emilio Cecchi, “ma il vesco-
vo si rigira e visto di dietro ha la figura di un clown.” Una descrizione fisica che si sposa perfettamente con l’indole di questo genio singolare, nel quale il vescovo e il clown convivono senza ombra di contraddizione. Il suo pensiero e la sua scrittura sono una perfetta miscela di passione e disincanto, senso del sacro e gusto dell’assurdo, rispetto per la tradizione e sfida alle convenzioni, ironia e speranza, misticismo e logica ferrea, buon senso e amore per il paradosso. Sempre in lotta contro ogni minima traccia di grigiore, routine, banalità o stanchezza, individuò il nemico in colui che, in nome della razionalità e del progresso, priva la vita della sua fragranza. E l’eugenetica, con la sua pretesa di controllare la vita, gli sembrò il prodot-
to disumano di tutto ciò che aveva sempre combattuto: la tirannia della scienza, l’alibi del progresso, l’equivoco della libertà, le trappole del benessere. Certo, l’eugenetica di cui parla Chesterton non è quella dei nostri tempi: non sono in discussione gli embrioni ma gli invalidi, non la fecondazione assistita ma i matrimoni “assistiti”. Eppure le argomentazioni dei sostenitori del progresso scientifico invocavano anche allora la libertà di ricerca e la possibilità di straordinari vantaggi futuri, mentre le obiezioni del “vescovo clown”, convinto che non sia la religione a perseguitare la scienza ma viceversa, assomigliano molto a quelle di certi “atei devoti” di oggi. Anche se Chesterton, devotissimo, credeva in Dio al punto da vedere nell’eugenetica una subdola e melliflua manifestazione del Diavolo. Lo dimostra, a suo parere, perfino la difficoltà di essere definita con
chiarezza, sposata alla pretesa “di essere una nuova etica”. Alla domanda “Che cosa è l’eugenetica?”, Chesterton risponde che “significa cose molto diverse per persone diverse; ma soltanto perché il male trae sempre profitto dall’ambiguità”, che “è esaltata con nobili professioni di idealismo e benevolenza, con una retorica assai eloquente su una maternità più pura e una posterità più felice; ma solo perché il male è sempre adulato”, che “annovera molti seguaci le cui intenzioni sono assolutamente in buona fede... ma solo perché il male vince sempre per la potenza dei suoi magnifici babbei; e c’è stata in tutte le epoche una disastrosa alleanza fra innocenza fuori dal comune e colpa fuori dal comune”. Questi utili idioti vanno giudicati con generosità “per il bene che credono di fare e non per il male che fanno davvero”, ma il verdetto è netto: “In grande o piccola quantità, che arrivi rapidamente o piano piano, spinta da buone o cattive motivazioni, applicata a mille persone o a tre, l’eugenetica in sé è una cosa che non deve essere messa in commercio più che un veleno”.
Per quanto riguarda invece i veri eugenisti, quelli che sanno il fatto loro, Chesterton li divide in varie categorie. La maggioranza è rappresentata dagli Eugenisti Eufemisti, quelli che sono “allarmati dai discorsi brevi e ammaliati dai discorsi lunghi” e risultano “assolutamente incapaci di parafrasare questi ultimi nei primi, per quanto essi abbiano palese-
mente il medesimo significato. Dite loro ‘I poteri persuasivi e anche coercitivi del cittadino potrebbero permettergli di garantire che il peso della longevità nelle generazioni precedenti non diventi sproporzionato e intollerabile, soprattutto per le donne?’; dite questo ed essi dondolano leggermente avanti e indietro come bambini cullati. Dite loro ‘Uccidi tua
madre’ e faranno un salto sulla poltrona. Eppure le due frasi, dal punto di vista freddamente logico, sono perfettamente uguali. Dite loro ‘Non è improbabile che possa arrivare un momento in cui l’angusta distinzione che si usava una volta fra l’uomo antropoide e gli altri animali, che ha subito così tante modificazioni dal punto di vista morale, venga modificata anche in considerazione dell’importante questione dell’allargamento del regime alimentare’, dite questo e un mormorio di meraviglia passerà sui loro volti. Ma dite loro ‘Mangia un uomo!’ e la loro sorpresa sarà sorprendente. Eppure le due frasi
hanno il medesimo significato. Ora, se qualcuno giudica bizzarri questi due esempi, riferirò due casi attuali della discussione eugenetica. Quando Sir Oliver Lodge ha parlato dei metodi ‘della scuderia di allevamento’ umana,
molti eugenisti hanno inveito contro la rozzezza della proposta. Eppure molto prima uno dei migliori beniamini dell’interesse altrui aveva scritto ‘Che assurdità è questa educazione! Chi potrebbe educare un cavallo da corsa o un levriere?’ Affermazione che non significa nient’altro che una scuderia di allevamento umana. O ancora, quando ho parlato di gente ‘che è stata sposata con la forza dalla polizia’, un altro illustre eugenista si è fatto forte della sua sincera assicurazione più tardi ho visto un proclama eugenetico, secondo il quale lo Stato dovrebbe estendere il suo potere in quest’area. Solo lo stato può essere quella corporazione che permette agli uomini di valersi della coercizione: e quest’area può essere solo l’area della sele-
zione sessuale... Sir Oliver non intendeva dire che gli uomini sarebbero legati nelle scuderie e strigliati dagli stallieri. Intendeva dire che subirebbero una perdita di libertà che per gli uomini è anche più infamante”.
I più irritanti sono invece gli Eugenisti Sofisti. Quelli che, a chi protestasse per la “diffusione del cannibalismo nei ristoranti del West End” sono pronti a ribattere “Bene, dopo tutto, quando la regina Eleonora succhiò il sangue dal braccio del marito era cannibale”. Ecco la risposta di Chesterton: “Ti limiti a succhiare il sangue avvelenato dalle braccia della gente? E gloriati pure del titolo di cannibale”. Allo stesso modo, molti giustificavano così l’eugenetica dei matrimoni combinati: “Dopo tutto, quando scoraggiamo un ragazzo dallo sposare una nera con la gobba, noi siamo effettivamente eugenisti”. Ai quali Chesterton risponde: “Limitatevi soltanto a quei ragazzi che sono naturalmente attratti dalle nere gobbe e vantatevi del titolo
di eugenisti, tanto più che quel fenomeno sarà raro. Ma sicuramente il buon senso comune deve suggerire che se l’eugenetica ha a che fare solo con casi così stravaganti, potrebbe chiamarsi appunto buon senso comune e non eugenetica. La razza umana ha escluso tali assurdità da tempi immemorabili e non ha mai usato il nome di eugenetica”.
Sarebbe lo stesso “definire flagellazione colpire sulle spalle un gentiluomo che sta soffocando o definire tortura quando un uomo si scongela le dita al fuoco”. I più superficiali sono gli Eugenisti Autocrati (“pensavo di chiamarli Eugenisti Idealisti, ma
implicherebbe un’umiltà nei confronti del bene disinteressato che essi difficilmente mostrano”), quelli convinti che “ogni riforma moderna ‘lavorerà’ senz’altro bene, perché essi saranno lì a controllare. Dove saranno e per quanto tempo, non lo
spiegano con chiarezza”. Quelli che si dichiarano “responsabili di un intero movimento anche dopo che lo avranno lasciato”.
Invece “non capiscono la natura di una legge più che la natura di un cane. Se lasci libera una legge, farà come fa un cane. Ubbidirà alla sua natura, non alla vostra”. Gli Eugenisti Precedenti hanno poi la pretesa che “si possa consacrare e purificare per sempre qualsiasi campagna, ripetendo i nomi dei valori astratti che sono nelle menti dei migliori promotori di essa. Questa gente dirà ‘Ben lungi dal mirare alla schiavitù, gli eugenisti sono alla ricerca della vera libertà; libertà
dalla malattia e dalla degenerazione, eccetera’. Non è il caso di perdere molto tempo con costoro. Poiché molti di loro sono agnostici o generalmente antipatizzanti della religione ufficiale, basta obiettare: ‘Supponiamo che uno di essi dica ‘La Chiesa d’Inghilterra è piena di ipocrisia.’ Che cosa penserebbe di me se rispondessi: ‘Ti garantisco che l’ipocrisia è condannata da ogni forma di Cristianesimo ed è particolarmente sconfessata dal Libro delle Preghiere’? Supponiamo che sostenga che la Chiesa di Roma si è resa colpevole di gravi crudeltà. Che cosa penserebbe di me se rispondessi ‘La Chiesa di Roma è espressamente tenuta alla mitezza e alla carità e dunque non può essere crudele’?”. E infine ci sono gli Eugenisti Sperimentatori, la razza peggiore. “E’ sufficiente dire che la cosa migliore che l’onesto Sperimentatore potrebbe fare è un onesto sforzo di sapere che cosa sta facendo. Anziché fare qualsiasi cosa finché non lo ha scoperto”.
Quando costoro accusano Chesterton, di individualismo e di opposizione a qualsiasi interferenza dello Stato, egli controbatte di “non negare, ma anzi sostenere con forza il diritto dello Stato di interferire per curare un grande male. Ma in questo caso interferirebbe per produrre un grande male”. L’atmosfera politica nella quale l’eugenetica diventa possibile è infatti quella che Chesterton definisce “l’anarchia dall’alto”, la tendenza del governo inglese a legittimare, in nome di un presunto allargamento della libertà, ogni stravaganza degli scienziati. “Il mondo moderno è come il Niagara. E’ splendido, ma non è forte. E’ debole come l’acqua, come il Niagara. L’obiezione a una cascata non è che è assordante o pericolosa o anche distruttiva, è che non può fermarsi”. Così anche “lo Stato è improvvisamente e tranquillamente impazzito. Dice assurdità e non può fermarsi”. E il sintomo della sua follia “non che una cosa simile non gli era mai passata per il cervello. Eppure pochi giorni è che accetta ciò che è abnorme ma che non può recuperare ciò che è normale”. Ne è una prova che “la definizione di ogni crimine è diventata sempre più vaga e si diffonde come una nube che si spalma e si rarefà su paesaggi sempre più
ampi”. Un’altra prova è che lo Stato si mostra sempre più succube del mito della medicina. Il compito del medico dovrebbe essere quello di “salvarci dalla morte; e, essendo la morte, per riconoscimento generale, un male, egli ha il diritto di somministrare la più strana e sconosciuta pillola che ritiene sia la cura per tali rischi di morte. Non ha il diritto di somministrare la morte come la cura per tutte le malattie umane. E non ha alcuna autorità morale per imporre un nuovo concetto di felicità, così come non ha alcuna autorità morale per imporre un nuovo concetto di sanità”. Brutto
segno quando la medicina parla come la voce della verità, in base a “questa autorità sfuggente ed evanescente che scompare
quando si cerca di precisarla”. Un medico non ha più diritto di chiunque altro di fissare i limiti entro i quali una vita umana può considerarsi accettabile o meno (“tutte le persone rifiuterebbero una simile responsabilità, tranne le peggiori, che la accetterebbero”). Invece il medico si considera “il consulente della salute della comunità” e ha come motto “La prevenzione è meglio della cura”. Finisce così col “trattare i sani da malati”( e se siamo tutti malati, lo è anche “il consulente della salute della comunità”, che dunque non sa come curarsi). Invece “la prevenzione non è meglio della cura. Tagliare la testa di
un uomo non è meglio che curargli il mal di testa e non è neppure meglio che sbagliare la cura”. Anzi, “non solo la prevenzione non è meglio della cura, ma è addirittura peggiore della malattia. Prevenzione significa essere malati a vita, con in più l’angoscia di dover star bene”. La proibizione di bere alcolici non parte dalla considerazione dei danni che un ubriaco potrebbe fare al prossimo, ma da quelli che fa a se stesso, perché “il governo deve salvaguardare la salute della comunità... e dunque necessariamente controllare tutte le abitudini di tutti i cittadini”. Lo scenario è allarmante: “un’élite in grado di avere
una precisa concezione di una nazione sana, come Napoleone aveva una precisa concezione di un esercito”. Non uno stato di anarchia, dunque, ma di tirannia. La tirannia dei medici, con il potere di intromettersi nelle faccende di tutti. Per il bene di tutti. Ma, a differenza dell’anarchia, “la tirannia è realizzabile, plausibile e anche razionale. E’ razionale, ed è sbagliata. E’ sbagliata, oltre al fatto che non si può eleggere un esperto della salute, perché un esperto della salute non può esi-
stere”. Se si cade da un albero e ci si rompe una gamba, bisogna chiamare il medico, che avrà un’ampia conoscenza di questo campo specialistico: “Ci sono solo un certo numero di modi in cui una gamba può essere rotta; io non ne conosco nessuno e lui li conosce tutti. Si può essere specialisti della rottura delle gambe. Non si può essere specialisti delle gambe. Quando non sono rotte, le gambe sono una questione di gusti. Se il medico guarisce la mia gamba, merita una statua gigantesca... ma non ha più diritti su di essa. Non deve venire a insegnarmi come camminare, perché l’abbiamo imparato alla medesima scuola: l’infanzia... Non ci può essere uno specialista universale; lo specialista non può avere alcun tipo di autorità, se non strettamente limitata al suo campo. Non ci può essere qualcosa come un consulente della salute della comunità, perché non ci può essere qualcuno specializzato sull’universo”. Se è difficile definire l’eugenetica, definire la
salute è semplicissimo: “La salute non è una qualità ma una proporzione di qualità”, “salute è natura” e, per un cattolico come Chesterton, “la natura è Dio; e nessun agnostico ha il diritto di vantare la Sua conoscenza. Perché Dio deve essere, fra le altre cose, quel mistico e complesso equilibrio di tutti gli elementi, grazie al quale alla fine noi siamo in grado di alzarci in piedi e tirare avanti; e qualsiasi scienziato che pretenda di avere esaurito questo soggetto di perfetta sanità, lo definirò il più abietto dei fanatici religiosi”. Perché solo “un’istituzione che proclamasse di venire da Dio potrebbe avere una simile autorità, ma questa è l’ultima rivendicazione che gli eugenisti possono fare. Una casta o un ordine professionale che cerca di governare gli uomini in una materia simile è come l’occhio destro di un uomo che pretendesse di governarlo o la gamba sinistra che sfuggisse al suo controllo. E’ follia”. Non è comunque il caso di affidare “tali poteri nelle mani di uomini che possono essersi imbrogliati o possono essere imbroglioni”. Ma gli eugenisti fanno l’esempio di una malattia ereditaria, per esempio la tubercolosi. Anche in questo caso Chesterton sarebbe contrario a un intervento eugenetico? Certamente, perché “la malattia o la sanità di un tubercoloso può essere un fattore chiaro e calcolabile. La felicità o l’infelicità di un tubercoloso è invece un altro fattore, del tutto incalcolabile”. E propone due esempi illustri: John Keats e Robert Louis Stevenson. “Keats è
morto giovane, ma ha goduto più lui in un minuto che un eugenista in un mese. Stevenson era malato ai polmoni e, per quanto ne so, l’occhio eugenetico l’avrebbe saputo con una generazione d’anticipo. Ma chi eseguirebbe l’illecita operazione di eliminare Stevenson?”. E non solo per “il piacere che noi abbiamo provato grazie a lui, ma per quello che ha provato egli stesso. Se fosse morto senza scrivere una riga, avrebbe comunque provato una gioia più viva di quanta è stata concessa alla maggioranza degli uomini”. E con quale criterio ne avrebbero impedito la nascita? Il punto più debole dell’eugenetica sta proprio nel “non poter dichiarare chi controlla chi” e “secondo quale autorità gli eugenisti fanno quello che fanno”. Come la caccia alle streghe nel Medioevo, scandalosa non perché si credeva alle streghe, ma perché si credeva a quelli che sostenevano di poterle riconoscere. Per questo si trasformò in una feroce persecuzione nei confronti delle donne più deboli e “finì con l’essere ciò che l’eugenetica comincia a essere”. Perché, anche in questo caso, il problema è che gli eugenisti non conoscono ciò di cui si occupano. E’ indubbio che esista un fattore ereditario, ma è molto dubbio il suo funzionamento, as-
sai più complesso e articolato di quanto la genetica non ci voglia far credere. Può capitare di “vedere balenare sul volto di
un bambino l’immagine di qualche avo che abbiamo conosciuto”, ma abbiamo solo la possibilità “di vedere un antenato conosciuto fra un milione di antenati sconosciuti”. Inoltre, H. G. Wells, considerato da tutti un paladino dell’eugenetica, ha messo in dubbio l’ereditarietà della salute, che non è una qualità, come il colore dei capelli o la lunghezza delle membra, ma “una relazione, un equilibrio”, diventando, secondo Chesterton, “l’eugenista che ha distrutto l’eugenetica”, perché ha lanciato “una sfida alla quale non si può non rispondere”, ma che è rimasta “senza risposta”. Come un tiranno, la scienza non si preoccupa di rispondere. E “quella che sta tentando di tiranneggiare attraverso il governo è la Scienza. Quella che sta usando il braccio secolare è la Scienza. Il credo che davvero sta imponendo decime e impadronendosi delle scuole, il credo che
davvero è fatto osservare con multe e arresti, il credo che davvero non è proclamato nelle omelie ma nelle leggi, e diffuso non dai pellegrini ma dai poliziotti. Quel credo che è il grande ma controverso sistema di pensiero che è cominciato con l’Evoluzione ed è finito con l’Eugenetica. Il materialismo è davvero la nostra Chiesa nazionale; perché il Governo lo aiuterà davvero a perseguitare i suoi eretici. La vaccinazione, negli ultimi cento anni, è stata messa in discussione all’incirca come il
battesimo negli ultimi duemila. Ma sembra del tutto ovvio ai nostri politici imporre la vaccinazione, mentre sembrerebbe
loro una follia imporre il battesimo”. Almeno l’Inquisizione, che, nel passato, perseguitava gli eretici, lo faceva in nome di una
verità alla quale credeva. Gli esperimenti eugenetici invece tentano di scoprire una verità che è ancora solo un’ipotesi. Gli eugenisti “non sanno che cosa vogliono, tranne che vogliono la tua anima, il tuo corpo e il mio, allo scopo di fare una scoperta”. L’Inquisizione torturava “per un credo che esisteva potentemente nella testa di qualcuno”, l’Eugenetica “per una scoperta che non è ancora arrivata nella testa di nessuno e forse non arriverà mai”. E’ “la prima religione sperimentale anziché dottrinaria. Tutte le altre Chiese nazionali si sono basate sul fondamento della verità. Questa è la prima Chiesa che
si è basata sul fatto di non averla trovata”. I loro adepti ammettono di esserne privi, ma sono in buona fede quando non disperano di trovarla, un giorno o l’altro. Peccato che “non abbiano nessuna idea in testa, ma solo soldi in tasca”. E se è onorevole essere disposti a “subire del male per ciò che io penso o qualcun altro pensa, non sono disposto a subire del male, e neanche ad avere delle noie, per qualsiasi cosa potrebbe essere pensata da qualcuno dopo che mi ha fatto del male”. Vaghi nella teoria, ma molesti nella pratica, gli eugenisti hanno come parola chiave “l’inevitabile”, o, come la chiama Chesterton, “l’impenitenza”. La parola d’ordine è che “non si torna indietro” ed è fondata “sul materialismo e sulla negazione del libero arbitrio”. Succede anche nella politica inglese, dove nessun governo ha il coraggio di abrogare le leggi del precedente e
considera “inevitabile” ereditare e mantenere le leggi che ha trovato, anche quando il proprio partito le aveva duramente attaccate quando erano state promulgate. Segno che la caratteristica del tempo è “nutrire la sciocca idea che ciò che è stato fatto non può essere disfatto”. Un rifiuto che non è “solo una colpa intellettuale, ma anche morale” e rivela “la nostra incapacità mentale di capire l’errore che abbiamo commesso”. E’ perché non crediamo veramente in nessuna cosa che possiamo facilmente accettarle tutte. “Quando i critici moderni dicono che Giulio Cesare non credeva in Giove... trascurano una differenza fondamentale fra quell’epoca e la nostra. Forse Cesare non credeva in Giove, ma neppure era certo della sua inesistenza. Non c’era niente nella sua filosofia, o nella filosofia dell’epoca, che potesse impedirgli di pensare che ci fosse uno spirito particolare e predominante nel mondo. Ma i materialisti moderni non hanno permesso di dubitare, hanno permesso di credere. Perciò, mentre il pagano poteva valersi di presagi, auguri o sogni, senza la certezza che fossero avvertimenti celesti o premonizioni mentali, il cristiano di oggi, diventato pagano, non deve assolutamente prendere in considerazione fatti simili, ma deve rifiutare sia l’oracolo che l’altare. Lo scettico di oggi è stato anestetizzato contro tutto quel che di naturale c’era nel soprannaturale”. Il paradosso consiste nel considerare “stabile la ‘condizione moderna’, sebbene proprio l’aggettivo ‘moderna’ implichi che è effimera, mentre le ‘vecchie idee’ sono considerate inaccettabili, sebbene proprio la loro antichità sia spesso la prova della loro durevolezza”.
Tutto questo in nome di una libertà di pensiero e di azione che non ha alcun fondamento.
“La libertà ha prodotto scetticismo e lo scetticismo ha distrutto la libertà. Gli amanti della libertà pensano di averla resa illimitata, mentre invece l’hanno resa indefinita” e la mentalità moderna si è messa nelle condizioni di “andare verso la legislazione eugenetica e verso ogni concepibile e inconcepibile stravaganza dell’eugenetica”.
Frutto perverso di un’epoca che “ama i problemi e odia le soluzioni”.
Fra gli altri mali che Chesterton prende in esame, insieme all’eugenetica, un posto di rilievo spetta al socialismo, all’illuminismo e al liberismo. Hanno in comune la colpa di aver distrutto le divinità familiari, senza le quali la famiglia ha perduto la sua divinità, quella indissolubile sacralità di “fede mistica e materialità domestica, che generalmente procedono insieme e insieme sono scomparse”. Lasciando i poveri senza alcuna religione con la quale “rendere sacra e dignitosa la loro
povertà”. Ecco che cosa succede quando “si elimina dalle proprie vite tutto ciò che non tende alla completa felicità”.

Fabio Canessa

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