giovedì 2 ottobre 2008

Eluana Englaro - Francesco D'Agostino: perché è difficile per me discutere con il signor Englaro

Da L'Avvenire di ieri 1 ottobre 2008. E' un pezzo di Francesco D'Agostino, filosofo cattolico esperto di bioetica, che parla della proposta rivoltagli di partecipare a un dibattito con Beppino Englaro, padre di Eluana.

Una legge riuscirà buona se è ragione senza passione
di FRANCESCO D’AGOSTINO

Mi hanno invitato a partecipare ad un dibattito, di forte rilievo mediatico, sul 'caso Englaro'. Al dibattito, mi è stato detto, è stato invitato il papà di Eluana, il signor Beppino Englaro, con l’intenzione (mediaticamente comprensibile) di dare alla sua partecipazione la massima rilevanza. Non ho ancora risposto positivamente all’invito, ma so in cuor mio che lo farò. Lo farò però col cuore pesante e con un certo imbarazzo. Ho già partecipato diverse volte ad incontri con Beppino Englaro e conosco quindi molto bene quanto sia difficile dibattere con lui. Non però perché io ritenga che i suoi argomenti siano invincibili. Né perché egli non vada ritenuto un degno interlocutore di chicchessia (e a maggior ragione di me); è uomo garbato, di intense e radicate convinzioni, che ha dedicato con sincerità e con un ammirevole senso della misura una parte ormai davvero ampia della sua vita ad una sola causa, quella della figlia Eluana, per 'liberarla' dallo stato vegetativo persistente in cui versa. Allora, perché questo imbarazzo? Perché col signor Englaro vorrei avere un rapporto del tutto diverso; ritengo che egli sia un uomo da compiangere (nel senso etimologico del termine: vorrei piangere assieme a lui il tristissimo destino di Eluana), che sia un uomo da compatire (nel senso etimologico del termine: dovremmo tutti patire assieme a lui, come assieme ad un fratello, a causa della vicenda che ha sconvolto la vita di Eluana e la sua). Ma è possibile discutere, argomentare, ragionare con chi merita in primo luogo di essere 'compianto' e 'compatito'? Qualcosa dentro di me mi induce a dire risolutamente di no: c’è un tempo per piangere e compatire e un tempo per discutere e argomentare (potremmo dire imitando l’Ecclesiaste) e confondere i due tempi è profondamente sbagliato. È sbagliato soprattutto in questo momento, o almeno da quando il Senato italiano ha votato una mozione, impegnandosi ad approvare in tempi molto brevi (entro la fine dell’anno!) una legge sulla 'fine vita'. Che cosa caratterizza una legge? Che sia democraticamente discussa e democraticamente votata? Certamente, questo di una legge è oggi il requisito primario. Ma non basta. Accanto ad esso dobbiamo porre un secondo requisito, altrettanto fondamentale: che sia una 'buona' legge. E quale sia il primo carattere di una 'buona' legge ce lo ha spiegato in modo definitivo e insuperabile Aristotele, tanti secoli fa: una 'buona' legge è 'ragione senza passione'. Elementi emotivi, patetici, passionali non possono che alterare il buon uso della ragione e portare ad una legislazione a gravissimo rischio di ingiustizia. Una legge, infatti, non può essere emanata per risolvere nell’immediato singoli casi umani, per quanto emotivamente conturbanti: essa deve mirare ad un orizzonte ben più ampio di quello dell’immediatezza. Nessun legislatore può ragionevolmente prevedere quali e quanti casi potranno ricadere in futuro nell’ambito di applicazione della norma che egli intende emanare oggi. Se vuole che la sua legge sia 'giusta' (nel limite delle umane possibilità), la deve pensare come svincolata da ogni riferimento di attualità, la deve pensare come se dovesse restare in vigore per tempi non solo lunghi, ma lunghissimi. Nel 'caso Eluana' non è coinvolta solo questa nostra sventurata sorella; sono coinvolti innumerevoli malati, ai quali non siamo in grado di dare né un nome, di cui non possiamo prefigurarci l’aspetto, malati attuali e malati futuri, il cui diritto alla vita è messo in pericolo e che noi dobbiamo garantire contro ogni rischio di abbandono terapeutico. Questo è il cuore della questione e di ogni possibile legge sulla 'fine vita', che si voglia 'giusta'. Per questo, a bassissima voce, auspicherei che il signor Englaro fuoriuscisse dal sistema mediatico nel quale si trova immerso da anni, che rinunciasse a portare in tutta Italia, come egli fa da anni, la sua testimonianza, che è testimonianza di 'passione', non di 'ragione'; che è sì una testimonianza autentica, che merita rispetto, ma che è anche (o meglio dovrebbe essere) del tutto ininfluente su un 'buon legislatore' e su di una opinione pubblica, troppo spesso stimolati mediaticamente con appelli spesso consistenti, ma puramente emotivi. Anche l’opinione pubblica, infatti, come il legislatore, dovrebbe formarsi attraverso un buon uso della ragione e di questo dovrebbero tener conto tutti coloro che hanno il potere di influenzarla. È solo per mandare questo messaggio che continuo e continuerò, ogni qual volta venga invitato a un dibattito col signor Englaro, a far sentire la mia voce.

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