lunedì 9 marzo 2009

India - «Per i cristiani dell’Orissa non esiste più normalità»

Da L'Avvenire

Cristiani costretti a pagare una tassa di 500 rupie per ritornare alle proprie case, oppure – come nel villaggio di Batticola – obbligati a vivere come indù. Donne cristiane oggetto di intimidazione perché in dossino un lungo velo, una pratica di ascendenza bramitica per umiliare la donna. Numerosi anche gli episodi di “apartheid religioso”: se un cristiano sta viaggiando su una motocicletta e incontra un indù, è costretto a scendere dal motociclo e proseguire a piedi per lasciar strada all’indù; quando vanno a fare un bagno in uno stagno, i cristiani devono mettersi in disparte affinché gli indù siano i primi a scendere in acqua.

I cristiani «vengono mi nacciati » dai membri del Sangh Pari var (una delle organizzazioni indù più integraliste) di «pesanti conseguenze se osano andare in chiesa: se ci prova no, incorrono in sanzioni come non attingere acqua ai pozzi o raccogliere la legna». È questo drammatico il quadro che monsignor Raphael Cheenath, arcive scovo di Bhubaneswar, capitale dello Stato dell’Orissa, ha offerto in un det tagliato documento di aggiornamen to sulla situazione dei cristiani a Kandhamal, la regione dell’Orissa epicentro del pogrom anticristiano di agosto. Secondo il prelato, ancora oggi conti­nuano le minacce contro la minoranza cristiana: «Molti fedeli vengono costretti a lasciare i campi profughi e tornare nei loro villaggi dove è non sono al sicuro».

Co sì è avvenuto nel villag gio di Gimangia, dove 17 cristiani hanno fatto ritorno alle loro case, ma sono stati spinti dai residen ti indù a rientrare in uno dei tanti campi profughi allestiti dalle autorità del distretto di Kandhamal, la località più colpita dalla violenza anticristiana. «In generale la situazione sembra no male, ma è solo un inganno – prosegue monsignor Cheenath –. La gente può muoversi nei campi di raccolta, ma non può osare recarsi nei villaggi per ché hanno ancora molta paura di subire attacchi o venire costretti a diventare indù: una cosa realmente accaduta in numerosi casi. Anche i dirigenti del distretto non incoraggiano la gen te a recarsi in certe località, come i villaggi di Kurtumgoda e Sankharakhole ». «La maggior parte dei preti – continua l’arci vescovo – che avevano abbandonato le proprie parrocchie per ragioni di sicurezza vi hanno fatto ritorno, ma l’amministrazione distrettuale ha suggerito loro di limitare i propri movimenti».

E il prelato non si fa illusioni. «La mia opinione è che siamo coinvolti in una battaglia di lungo cor so. Non ne vediamo la fine: alcune per sone dall’estero mi chiedono se ci saranno altri attacchi contro i cristiani in Orissa. E io rispondo: questo è il peri colo che ci sta davanti». «Mi è stato raccontato – rivela – di in contri segreti di membri di Sangh Parivar tenutisi in tutto il distretto di Kandhamal. Le autorità, a parole, fan no bene il loro la voro. Ma sono in teressate solo a rimandare indietro la gente nei villag gi, però senza un’adeguata pro tezione né i beni necessari». Monsignor Cheenath stigmatizza anche il fatto che le autorità non abbiano mai individuato gli autori delle violenze: «Non c’è stata alcuna indagine seria per trovare chi ha scatenato tutto e per punire i colpevoli. Dietro questa mancanza di im pegno dello Stato vi possono essere so lo motivi legati alle elezioni di quest’anno ».
Lorenzo Fazzini

1 commento:

Riccardo ha detto...

Consoliamoci: il sangue dei martiri è semente di nuovi cristiani. Quando l'intergralismo indù sarà un semplice ricordo, credo che molti lasceranno l'induismo.