martedì 20 ottobre 2009

Walesa e il film su Popieluszko: «Un sacerdote eroe della fede»



Un altro bellissimo film sulla Polonia, dopo Katyn.


Un testimone di Cristo. Ma anche un testimone dei nostri tempi. «I giovani polacchi d’oggi non sanno quanto accadde in questo paese vent’anni fa. Le lezioni di storia nelle scuole si fermano alla seconda guerra mondiale; e io non volevo che, anche quando qualche insegnante ne parla, la storia di padre Popieluszko si riducesse ad una noiosa lezione scolastica. Volevo che diventasse una base su cui i giovani potessero costruire il proprio sentimento di dignità». Per questo il regista Rafat Wieczynski ha girato Popieluszko; per questo, ieri al Festival Internazionale del Film di Roma, per solennizzare la presentazione del kolossal polacco (settemila fra attori e comparse, sette mesi di riprese in quattordici città), che proprio nel giorno del venticinquesimo anniversario del suo martirio ricostruisce vita e morte del «cappellano di Solidarnosc», nonché futuro beato, è intervenuto anche l’ex presidente polacco e premio Nobel 1983, Lec Walesa. «Quelli sono stati anni che hanno cambiato la storia della Polonia e del mondo – ha riflettuto Walesa – L’elezione a pontefice di Karol Woytila parve a tutti noi, padre Popieluszko compreso, l’occasione irripetibile per portare il paese e l’Europa fuori dal giogo del comunismo. E così fu. Anche se per ottenere questo padre Popieluszko pagò il prezzo più alto. Ora il film di Wieczynski potrà aiutarci a riflettere meglio su quel clima». Il sogno non s’è completamente realizzato, ammette: «Oggi il 50 per cento del denaro pubblico è mediamente impiegato per gli armamenti e le guerre. Se utilizzassimo al meglio le nostre risorse, potremmo aspirare tutti ad un futuro migliore». Visto in patria da un milione e trecentomila spettatori, e prima dell’uscita italiana del 6 novembre forse anche in Vaticano («Sarebbe un sogno farlo vedere a papa Ratzinger», sussurra Wieczynski), Popieluszko segue la vita di padre Jerzy dai giorni del primo pellegrinaggio polacco di Giovanni Paolo II, nel 1980, al suo misterioso assassinio nel 1984 («Del quale sappiamo ancora troppo poco – ribadisce Walesa – perché non si è mai capito se fu ufficialmente organizzato o iniziativa di alcuni esaltati»), sempre attraversando la singolare realtà polacca, «nella cui storia – sintetizza il premio Nobel – la Chiesa ha avuto sempre un ruolo centrale. Essa infatti ha dato voce alla Nazione quando la Nazione non poteva parlare; ha agito quando la Nazione non poteva agire». Ricorda il regista, che a sedici anni fuggì di scuola, nonostante i divieti, per partecipare ai funerali di padre Popieluszko, assieme ad altri seicentomila «disubbidienti»: «Nei giorni di padre Jerzy, la Chiesa era il solo baluardo della libertà contro il comunismo, e lo era per tutti, anche per i non credenti. La parola del Vangelo, insomma, era fonte d’ispirazione anche per la politica. Oggi, invece, si pretende di separare i due ambiti. E questo è molto triste: nela politica il decalogo non può essere, naturalmente, un elemento di vincolo; ma non può nemmeno essere ignorarlo». Fino ad oggi la tomba del martire di Solidarnosc è stata visitata da 17 milioni di pellegrini. «Il che dimostra quanto sia attuale il suo insegnamento. Saper distinguere il bene dal male; saper dare un nome all’uno e all’altro».
Giacomo Vailati

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