mercoledì 26 gennaio 2011

Un bell'articolo di Avvenire su distributismo, Ciò che non va nel mondo e Babylondon

Articolo onesto e che dice la verità su Chesterton e su ciò che pensava del mondo, senza tirare la giacchetta...


Chesterton: la ricchezza va redistribuita

I personaggi principali sono Hudge, Gudge e Jones. Volendo tradurre in italiano, potremmo parlare dell’onorevole Pinco, del suo collega Panco e del povero Rossi. L’idealista Pinco Hudge, convinto di migliorare le condizioni di vita del proletariato, riesce a far abbattere le catapecchie in cui Rossi Jones abita in compagnia dei suoi simili e si fa promotore della costruzione di casermoni popolari imponenti quanto deprimenti. Il che dà allo smaliziato Panco Gudge il destro di elogiare il buon tempo andato, quando i miserabili avevano sulla testa un tetto modesto finché si vuole, ma almeno non così disumano. Entrambi i politici fanno carriera, Pinco Hudge trasformandosi in disilluso conservatore, mentre Panco Gudge è tutto preso da una personale forma di ecologismo estremo. Di Rossi Jones si perdono le tracce, però c’è da scommettere che non stia meglio di prima.

Scritto appena ieri, e cioè nel 1910, esattamente un secolo e un anno fa, da uno dei più lucidi e temibili polemisti che l’apologetica cristiana ricordi. Gilbert Keith Chesterton, proprio lui: l’inventore di padre Brown, l’ammiratore di Tomaso d’Aquino, il sostenitore dell’ortodossia senza se e senza ma. Di lui il lettore italiano conosce molto, e di sicuro il meglio, anche se a ondate editoriali intermittenti, eppure resta ancora parecchio da scoprire. Per esempio questo Ciò che non va nel mondo (di cui a fianco pubblichiamo un estratto), di cui Lindau manda domani in libreria la prima edizione italiana (traduzione di Gianluca Perrini, pagine 312, euro 22,00). Un’opera minore nella peraltro sterminata bibliografia chestertoniana? Non proprio, anche se di sicuro si tratta di uno dei libri che, all’epoca, più fecero scalpore, attirando severe critiche sul prolifico intellettuale britannico, che in quel momento era già incamminato nel lungo cammino interiore destinato a culminare nella conversione al cattolicesimo, datata 1922.

Gli anni che precedono la Prima guerra mondiale coincidono, tra l’altro, con l’attivismo delle "suffragette", impegnate nella battaglia per il riconoscimento del diritto di voto alle donne. Ed è su questo argomento che Chesterton assume le posizioni più paradossali, sostenendo in buona sostanza che il problema non è se le donne siano o non siano buone per il voto, quanto piuttosto se il voto sia o non sia una cosa buona per le donne, che in questo modo si ritroverebbero a essere "complici" di un processo decisionale del quale fanno parte la guerra, la pena di morte e tutta una serie di simili brutture. Paradossale, l’abbiamo già detto, eppure la lettura di Ciò che non va nel mondo lasciò una traccia profonda, per esempio, nella giovane Dorothy Sayers, futura autrice di gialli di successo. Segno, probabilmente, del fatto che il movimentato saggio di Chesterton non era affatto antifemminista, ma portatore semmai di una diversa, non convenzionale idea di femminilità. Antimoderna, forse, ma a suo modo libera da pregiudizi.

Nel libro, del resto, le osservazioni sulla condizione della donna e sui guasti di un malinteso pedagogismo sono poste al servizio di una riflessioni più ampia, che si sarebbe tentati di definire poetico-economica. Mettendo alla berlina gli Hudge & Gudge di ogni latitudine, infatti, Chesterton intende anzitutto ribadire la bontà del distributismo, l’innovativa visione della proprietà privata di cui si era reso paladino insieme con un piccolo e combattivo gruppo di intellettuali, dei quali facevano parte il fratello Cecil, l’inseparabile amico Hilaire Belloc e padre Vincent McNabb, il frate domenicano al quale è stata dedicata di recente un’agile biografia italiana (Paolo Gulisano, Babylondon, Edizioni Studio Domenicano). Di che cosa si tratta? Di una "terza via" tra capitalismo e comunismo, basata sul concetto che la proprietà non è un male in sé: il male deriva invece dall’accentramento di molti beni materiali nelle mani di pochi. «Possiamo evitare il socialismo - scrive infatti Chesterton - soltanto con un cambiamento vasto quanto il socialismo. Per salvare la proprietà dobbiamo distribuirla, e nel fare ciò dobbiamo mostrarci inflessibili e radicali, quasi come i rivoluzionari francesi. Per preservare la famiglia dobbiamo rivoluzionare la nazione». Un programma che, a un secolo e un anno di distanza, pare non aver perduto nulla in termini di straordinaria, dirompente attualità, specie per tutti i Rossi Jones del pianeta.
Alessandro Zaccuri

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