martedì 23 aprile 2013

Un grande ritorno: L'età vittoriana nella letteratura


Dopo quasi 70 anni l’editrice Fuorilinea ripropone ‘L’età vittoriana nella letteratura” acutissimo e debordante saggio/divagazione di Gilbert Keith Chesterton, il papà di padre Brown, e poi poeta, giornalista, critico e rutilante autore di pamphlet, saggi e romanzi surreali, grotteschi, umoristici, talvolta geniali sintesi di vezzi, gusti, splendori e miserie dell’intero Novecento. Qui di seguito la mia prefazione al volume  curato da Sabina Nicolini e tradotto da Federico Mazzocchi 
Un libro di Chesterton ha sempre bisogno di un’introduzione. Non perché manchi di qualcosa o necessiti di un sostegno. Tutt’altro. Ne ha bisogno perché di cose lì dentro ce ne sono fin troppe. Un rutilante e incessante assalto alla mente del lettore che facilmente potrebbe avere la peggio. Un’introduzione quindi vale un po’ da bussola, da orientamento primario nella fantasia di uno scrittore esorbitante come la sua mole, innamorato dei suoi contrasti, dei suoi giochi di parole condotti e perpetrati9 fino allo sfinimento, dei suoi parallelismi, dell’evocazione di particolari che soprattutto a più di un secolo di distanza possono essersi facilmente spersi strada facendo.
E allora, la prima avvertenza. Per far fruttare al meglio la lettura di questo L’età vittoriana in letteratura, ponetevi di fronte al volume che state per iniziare come se vi trovaste di fronte a un pianista virtuoso ma un po’ scapestrato: nel vostro caso, al posto delle note troverete un elenco dettagliato ma non sistematico di volti, un sfilata di penne valorose, significative, di scrittori che hanno incarnato l’epoca che Chesterton sentiva ancora come propria, nella piena libertà di muovercisi dentro da critico ma appassionato. Ci sono quindi i suoi amori, Dickens, Stevenson, e c’è l’Inghilterra sferzata e amata, ma che ne esce assolutamente vivida e attraente ancora oggi.
La seconda: non pensate di trovare in queste pagine le canoniche biografie, la contestualizzazione storica, una guida per comprendere. Queste cose a Chesterton non interessano. Quando e soprattutto quando scrive saggistica, GKC è un’ape che sugge fino all’ultimo la corolla che ha individuato per poi passare improvvisamente a quella di un altro tipo, di un altro campo, volteggiando allegramente seguendo la via dell’istinto. E allora, munitevi se  volete di matita e appunti per costruirvi da soli un itinerario in mezzo a questo paesaggio. Non contate sull’autore, non ha nessuna pietà e vi lascerà fare da soli un percorso personale ma non per questo meno elettrizzante
La terza: lasciarsi andare e gustare la verve dell’autore. Come di fronte al mangiafuoco del circo voi sapete bene di non aver alcuna voglia di riprodurre l’effetto del protagonista, né vi fate troppe domande sul modo in cui realizza il suo spettacolo. Ma il fuoco è talmente bello, vivido e fiammeggiante che guardate con ammirazione le sue evoluzioni che in fondo non vi scotteranno ma vi daranno emozioni. E Chesterton è una fucina di emozioni assolutamente indolore e avvincente.
La quarta: detto tutto ciò, non pensate di essere di fronte a un magnifico dilettante della storiografia. Chesterton non va misurato col metro della sistematicità, dell’equilibrio, della ragionevolezza. Come una squadra di calcio che magnificamente si getta all’attacco dell’avversario non si cura troppo di disporsi perfettamente sul campo e non si preoccupa di un contropiede. GKC si offre sempre senza calcoli al suo lettore che sa di potersi aspettare continuamente il colpo di genio, la trovata inattesa, la definizione improvvisa, saettante e fino a quel momento impensabile senza chiedergli continuità, logica e rigore. Così quest’opera si può leggere come il dizionario redatto da un Borges distratto, un uomo che una volta giunto a Liverpool scrisse alla moglie “Sono a Liverpool, dove dovrei essere? ‘ E la povera consorte gli rispose rassegnata “a casa”. Ecco caro lettore, sei perfettamente consapevole che a un certo punto anche tu non saprai più dove sei, dove ti avrà portato con sé questo formidabile gargantua delle parole. Ma non avere paura: una volta tornato a casa di accorgerai che il gioco valeva la candela. O meglio, il fuoco del mangiafuoco.
Saverio Simonelli

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