giovedì 16 maggio 2013

Dal prof. Carlo Bellieni - Tu sì, tu no: la selezione semina dubbi - da E' vita, inserto di Avvenire

 

di Carlo Bellieni

La genetica prenatale permette di riconoscere i «difetti» del feto Ma davanti all'abuso dei test ora anche tra i laici c'è chi frena E scopre l'accoglienza dei disabili

L
a nuova frontiera della tecno genetica prenatale ha due facce: riconoscere la sindrome Down del feto nel sangue materno, e fare l'analisi dell'intero genoma fetale.

Due nuovi poteri a disposizione di tutti; basta pagare. Ormai possibile, ma anche accettabile? In America le cose iniziano a incrinarsi: la Rivista del Massachussets institute of technology del 23 aprile si interroga sul diritto alla privacy del feto di fronte alla prospettiva di analizzare tutti i tratti genetici prima che nasca: «Quanti genitori abortiranno un feto destinato a essere un adulto calvo?

Non credo molti. Ma più di zero». E il Wall Street journal del 3 aprile parla proprio dei test per la sindrome Down fatti sul sangue materno e mette in guardia dal «rischio che un marketing aggressivo basato sull'affidabilità di questi test in base ai primi studi possa indurre confusione nei medici e nei pazienti».

Mentre dal 26 marzo il Nord Dakota è diventato il primo stato a proibire l'aborto proprio in base ai test genetici, con un particolare riferimento alla sindrome Down. Critiche dal mondo laico, cambiamenti legislativi: inattesi forse, ma segno di un malessere e di una deriva che finalmente si vuole arginare.

Le critiche laiche alla ricerca dell'anomalia genetica prenatale non sono cosa nuova. Wohlfram Henn scriveva in un articolo intitolato «Consumismo nella diagnosi prenatale»: «L'abuso di test genetici per la selezione fetale in base al sesso è già un grave problema. Nell'epoca dellacommercializzazione della genetica umana, è banale pensare che nuovepossibilità di selezione prenatale più sofisticate non agirebbero secondo la legge della domanda e dell'offerta».


C
 osì come la sociologa Carine Vassy,
 dell'Inserm di Parigi spiega in un suo studio recente che l'opinione delle donne non è mai stata richiesta quando si trattava di scegliere se far entrare la diagnosi prenatale nella routine in Francia, e averne fatto routine è più dovuto a leggi del mercato o alla pressione culturale denatalista imperante. Eppure, i test prenatali si moltiplicano, come fossero davvero una priorità sociale; e certo il tasso del loro crescere non è pari alla lentezza con cui si cercano soluzioni per aiutare famiglie e donne ad accogliere la vita. 
Tuttavia, in sordina, arrivano
 buone notizie sul fronte della malattia. Il Jerusalem Post riferisce che in Israele i soggetti con sindrome Down vivono più a lungo e meglio grazie a nuove tecniche di insegnamento. Uno studio congiunto Usa-Cina ( Nature medicine, marzo 2013) sostiene di aver individuato la proteina responsabile del ritardo mentale delle persone con sindrome Down, un passo in più verso la cura?

Questa discrepanza di interesse e di fondi tra indagini genetiche prenatali sempre più vaste e a tappeto e la ricerca di trattamenti, di politiche per l'accoglienza dei disabili e il sostegno alle famiglie è inquietante. Anche perché questi esami costano: alcuni ai singoli e tanti allo Stato. Alla nascita di un nuovo Governo, perché non pensare a un mondo in cui la prima parola, invece che «paura» sia davvero «solidarietà» e dirottare lì gli investimenti?

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