giovedì 7 dicembre 2017

Il teatrino giocattolo - di Gilbert Keith Chesterton (traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati ©)

Il teatrino giocattolo - da Tremendous Trifles

C'è una sola ragione per la quale i grandi non giocano coi giocattoli; ed è una ragione giusta. La ragione è che giocare coi giocattoli richiede tanto più tempo e incomodo di qualunque altra cosa. Giocare come bambini significa che giocare è la cosa più seria del mondo; e non appena ci capitano piccoli doveri o piccoli dolori siamo costretti ad abbandonare in qualche misura un progetto di vita così enorme e ambizioso. Abbiano abbastanza forza per la politica e il commercio e l'arte e la filosofia; non abbiamo forza abbastanza per giocare.  Questa è una verità che chiunque riconoscerà se, da bambino, ha mai giocato con qualsivoglia cosa; chiunque abbia giocato con le costruzioni, chiunque abbia giocato con le bambole, chiunque abbia giocato coi soldatini di stagno. Il mio lavoro di giornalista, che incassa soldi, non è perseguito con la stessa terribile costanza impiegata in quel lavoro che non incassa niente. 
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Prendiamo il caso delle costruzioni. Se domani tu pubblicassi un'opera in dodici volumi (che sarebbe proprio una cosa da te) su "Teoria e pratica dell'architettura europea", la tua opera può essere stata laboriosa ma è fondamentalmente frivola. Non è seria quanto è serio il lavoro di un bambino che impila un mattoncino sull'altro; per la semplice ragione che se il tuo libro è un cattivo libro nessuno mai sarà in grado di provarti del tutto e una volta per tutte che è un cattivo libro. Ma se l'equilibrio della sua costruzione è un cattivo equilibrio, semplicemente crollerà tutto. E se so qualcosa di bambini, lui si rimetterà al lavoro triste e solenne per costruirla di nuovo. Mentre, se so qualcosa di scrittori, nessuno indurrebbe te a riscrivere il tuo libro o neanche a pensarci di nuovo, se solo potrai farne a meno. 
Prendiamo il caso delle bambole. È molto più facile dedicarsi a una causa educativa che occuparsi di una bambola. È facile scrivere un articolo sull'educazione così come è facile scrivere un articolo sulle caramelle o suoi tram o su qualunque altra cosa. Ma badare a una bambola è quasi altrettanto difficile che badare a un bambino. Le ragazzine che incontro per le strade di Battersea venerano le loro bambole in una maniera che mi ricorda non tanto il gioco quanto l'idolatria. In certi casi l'amore e la cura per il simbolo artistico sono diventati molto più importanti della realtà umana che, suppongo, in origine dovevano significare. 
Ricordo una bambina di Battersea che portava in giro la sua robusta sorellina in fasce in una carrozzina per bambole. Avendole chiesto lumi su tale linea di condotta, ella rispose,"Io non ho una bambola e la Piccolina sta facendo finta di essere la mia bambola". La natura stava davvero imitando l'arte. In principio una bambola fu il sostituto di un bambino; in seguito un bambino diventò semplicemente il sostituto di una bambola. Ma questo ci porterebbe altrove: ora il punto è che una simile devozione assorbe la maggior parte della testa e la maggior parte della vita; proprio come se si trattasse davvero della cosa che si pensa simbolizzata. Il punto è che l'uomo che scrive della maternità è un puro e semplice esperto di educazione; la bimba che gioca con la sua bambola è una madre.  
Prendiamo il caso dei soldatini. Un tale che scrive un articolo sulla strategia militare è semplicemente un uomo che scrive un articolo; orrenda visione. Ma un ragazzino che scende in campo coi soldatini di stagno è come un generale che scende in campo con soldati in carne e ossa. Entro i limiti delle sue possibilità infantili, deve pensare alla situazione; laddove il corrispondente di guerra non ha bisogno di pensare a niente. Ricordo un corrispondente di guerra che, dopo la cattura di Methuen, commentò: "questo slancio di attività da parte di Delarey è probabilmente dovuto alla scarsità di scorte". Lo stesso critico militare  aveva accennato pochi paragrafi prima che Delarey aveva quasi addosso una colonna di inseguitori al comando di Methuen. Methuen dava la caccia a Delarey; e l'attività di Delarey era dovuta al fatto che stesse per finire le scorte. Altrimenti se ne sarebbe stato buono buono mentre gli davano la caccia. Io corro dietro a Jones con un'accetta e se lui si rivolta e cerca di liberarsi di me la sola spiegazione possibile che ha un credito piccolissimo in banca.  Non riesco a credere che nessun ragazzino che gioca coi soldatini sarebbe talmente idiota. Ma è anche vero che chiunque mentre gioca a qualunque gioco deve essere serio. Invece, e ho fin troppo buone ragioni per saperlo, se stai scrivendo un articolo puoi dire qualunque cosa ti salti in mente. 
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A grandi linee, dunque, ciò che trattiene gli adulti dal coinvolgersi nei giochi dei bambini, parlando in generale, non è che non vi trovino piacere; è semplicemente che non hanno agio di farlo. È che non possono permettersi il costo di fatica e tempo e attenzione per un programma tanto grandioso e grave. Io stesso ho tentato, per un po' di tempo, di portare a termine un dramma in un piccolo teatro giocattolo, il tipo di teatrino giocattolo che si usava chiamare "A Penny Plain and Twopence Coloured"; solo che io stesso disegnavo e coloravo le figure e i fondali. Ero in tal modo libero dall'umiliante obbligo di dover pagare uno o due penny; dovevo pagare soltanto uno scellino per del buon cartone e uno scellino per una scatola di cattivi acquarelli. La sorta di palcoscenico in miniatura a cui mi riferisco è probabilmente familiare a ciascuno; non è niente di più di uno sviluppo del palcoscenico che Skelt realizzava e che Stevenson celebrò. 
Ma per quanto io abbia lavorato assai più duramente al teatrino di quanto abbia mai lavorato a qualsivoglia racconto o articolo, non riesco a finirlo; l'opera sembra troppo pesante  per me. Devo staccare e dedicarmi a impegni più leggeri; come le biografie di grandi uomini. Il dramma di "San Giorgio e il Drago" per cui ho fatto le ore piccole (bisogna colorare il tutto alla luce della lampada, perché è così che lo si vedrà), manca ancora con grandissima evidenza, ahimè!, di due ali del Palazzo del Sultano e anche di un qualche metodo comprensibile e funzionale di tirar su il sipario. 
Tutto questo mi suscita un sentimento che sfiora il significato reale dell'immortalità. In questo mondo non siamo in gradi di avere piacere puro. Questo in parte perché il piacere puro sarebbe pericoloso per noi e per il nostro prossimo. Ma in parte è che il puro piacere è di gran lunga una fatica troppo grande. Se mai mi troverò in un altro e migliore mondo, spero che avrò tempo abbastanza da giocare coi teatrini e niente altro; e spero che abbastanza energia divina e sovrumana da recitarci perlomeno un dramma senza interruzioni. 
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Nel frattempo la filosofia dei teatrini giocattolo merita l'attenzione di chiunque. Tutte le morali essenziali che gli uomini moderni hanno bisogno d'imparare possono essere dedotte da questo giocattolo. Considerato dal punto di vista artistico, esso ci ricorda del primo principio dell'arte, il principio che ai nostri tempi corre il maggior rischio di essere dimenticato. Voglio dire il fatto che l'arte consiste di limitazioni; il fatto che l'arte è limitazione. L'arte non consiste nell'espandere le cose. L'arte consiste nel ritagliare le cose, così come io ritaglio con un paio di forbici le mie bruttissime figurine di sa Giorgio e del Drago. Platone, che amava le idee definite, apprezzerebbe il mio drago di cartone; perché, anche se la creatura ha pochi altri meriti artistici, perlomeno è dragonesca. Il filosofo moderno, che ama l'infinito, si accontenti pure del foglio di cartone vuoto. La cosa più artistica dell'arte teatrale è il fatto che lo spettatore osserva il tutto attraverso una finestra. Questo è vero perfino di teatri inferiori al mio; perfino nel teatro di corte di Sua Maestà il Re si guarda attraverso una finestra; una finestra insolitamente grande. Ma il vantaggio del teatro piccolo è precisamente che si guarda attraverso una finestra piccola. Non ha forse osservato chiunque di noi come qualunque paesaggio sembri amabile e sorprendente quando lo si guarda attraverso un arco? Questa forma netta e decisa, questo chiuder fuori qualunque altra cosa non è soltanto un aiuto alla bellezza; è l'essenziale della bellezza. La parte più bella di ogni quadro è la cornice. 
In particolare per il teatrino giocattolo è vero questo: che, riducendo la scala degli eventi, può introdurre eventi più grandi. Siccome è piccolo può facilmente rappresentare il terremoto in Giamaica. Siccome è piccolo può facilmente rappresentare il Giorno del Giudizio. Esattamente in quanto è limitato, esso può giocare facilmente con le città in declino o con le stelle cadenti. Intanto i grandi teatri sono costretti a risparmiare perché sono grandi. Quando avremo compreso questo fatto, avremo compreso qualcosa della ragione per cui il mondo è sempre stato ispirato innanzitutto dalle piccole nazionalità. La vasta filosofia greca poteva accomodarsi più facilmente nella piccola città di Atene che nell'immenso Impero di Persia. Nelle strette vie di Firenze Dante sentì che c'era spazio per il Purgatorio e il Paradiso e l'Inferno; sarebbe stato soffocato dall'Impero britannico. I grandi imperi sono prosaici per forza, perché supera l'umana potenza rappresentare un grande poema su così grande scala. Idee molto grandi si può solo rappresentarle in spazi molto piccoli. Il mio teatrino giocattolo è altrettanto filosofico quanto il teatro di Atene.

(traduzione di Umberta Mesina - tutti i diritti riservati ©)

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Note

1 - Un episodio della Seconda Guerra Boera (1902).

2 - I teatrini giocattolo di cui parla GKC erano fatti di cartone e cartoncino, non erano teatri di marionette o burattini. La frase "A Penny Plain and Twopence Coloured" era uno slogan dei produttori e significava "semplice un penny e colorato due penny"; indica il fatto che i fogli con i personaggi e i fondali costavano un penny se erano semplicemente stampati nero su bianco (plain), e due penny (twopence) se erano colorati. R.L. Stevenson, grande appassionato di teatrini giocattolo, usò la frase come titolo di un suo articolo riguardante i teatrini, in particolare quelli prodotti da Skelt.   



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